La comunicazione ai tempi del Covid 19

La diffusione del Covid 19 ha ribaltato le nostre vite, costringendoci a cambiare abitudini, priorità e il modo in cui percepiamo la realtà. Questa pandemia ha messo a nudo la fragilità dei nostri equilibri e la precarietà del sistema in cui viviamo. Molti hanno paragonato la portata di questo cambiamento a quanto avvenuto durante grandi eventi storici del passato, come guerre e catastrofi naturali. Tuttavia la comunicazione ai tempi del Covid 19 presenta caratteristiche inedite ed elementi di rottura rispetto a qualsiasi altra epoca.
Per la prima volta nella storia, un’emergenza globale si associa alla diffusione in tempo reale di flussi di informazione e disinformazione H24 in ogni angolo del pianeta e su molteplici canali di comunicazione.
La rapidità, le conseguenze e le dimensioni della pandemia rendono difficile fermarsi a riflettere su questi aspetti, se non in modo superficiale. Ma resta il fatto che il nostro modo di comunicare e relazionarci, così come il modo di fare e ricevere informazione, sta cambiando in modo radicale sotto ai nostri occhi.
Con questo articolo, desidero approfondire come si sta trasformando la comunicazione ai tempi del Covid-19 e condividere alcune considerazioni. I contenuti del post, scritti nel mezzo del cambiamento magmatico che stiamo vivendo, potranno essere confermati, smentiti o sviluppati da quanto succederà nel futuro prossimo. Ma soprattutto, da come intepreteremo, vivremo e affronteremo quanto ci sta succedendo.
Infodemia globale
L’aspetto più evidente della situazione che stiamo vivendo oggi rispetto alle poche situazioni simili del passato è quella che viene già definita come “infodemia”. Per infodemia si intende il sovraccarico di notizie e informazioni simultanee, provenienti da fonti diverse, spesso non verificate, che mai come in questo periodo accompagna le nostre giornate.
Come il virus, le informazioni si propagano in modo rapido e capillare, riempiendo ogni momento e spazio delle nostre giornate, in modo più o meno evidente. Per questo la comunicazione ai tempi del Covid 19 presenta numerose criticità. Proprio come il vero virus, il veloce e incontrollato “contagio informativo” rischia infatti di rendere più complessa la gestione dell’emergenza.
L’infodemia compromette la possibilità di trasmettere messaggi univoci per raggiungere obiettivi comuni e comportamenti uniformi da parte della popolazione. Ad incrementare questo clima di confusione contribuiscono poi le differenze nelle scelte operate dalle singole nazioni e a volte da paesi e regioni all’interno della stessa nazione. L’intreccio tra comunicazioni ufficiali diversificate in base all’area geografica e comunicazioni ufficiose non verificate porta ulteriore caos e incertezza.
Computer e televisione: finestre su un mondo in quarantena
PC e televisione sono diventati ancora più prepotentemente finestre su un mondo pieno di contraddizioni, interconnesso e diviso allo stesso tempo. Sugli schermi di computer e TV si susseguono a ciclo continuo telegiornali, interviste e programmi dedicati al Covid 19. Le programmazioni di quasi tutti i canali televisivi si sono trasformate in un’unica sinfonia in cui si alternano le voci di esperti, politici, medici, pazienti e forze dell’ordine. Mai come oggi un evento aveva accentrato l’attenzione dei media in modo così persistente e capillare.
Inoltre, il progressivo isolamento insieme alla paura e alle incertezze di questo momento storico fanno sì che la realtà dei media diventi per molti di noi la Realtà.
Per questo motivo, la pandemia ci mette di fronte a due tipi di difficoltà, ugualmente inattese e pericolose per il nostro equilibrio e per quello delle nostre comunità. Da un lato dobbiamo impegnarci ad arginare la diffusione del virus. Dall’altro, segregati nelle nostre case, dobbiamo sforzarci di filtrare le molteplici informazioni che ci vengono date, valutando la loro capacità di riflettere il mondo esterno.
La prima emergenza ci impone di bloccare rapidamente la diffusione del virus con tutti i mezzi a disposizione. La seconda ci obbliga a sviluppare in tempi record “anticorpi” intellettuali e mappe mentali per orientarci nella jungla mediatica in cui siamo stati catapultati. Le due emergenze si fondono senza soluzione di continuità ed è quindi fondamentale affrontarle entrambe con la giusta consapevolezza.
Comunicazioni ufficiali e ufficiose: una difficile convivenza
A questo proposito, la prima grande distinzione tra le informazioni da gestire è quella tra comunicazioni istituzionali e comunicazioni “ufficiose”, includendo nella seconda categoria un intricato sottobosco di contenuti.
Forse per un’innata diffidenza verso l’autorità o per una predisposizione al complottismo, molti pensano di non potersi fidare del tutto delle notizie provenienti dagli organi istituzionali. In Italia, la percentuale di utenti abituali del web che privilegiano i canali di comunicazione istituzionali è nettamente inferiore a quella di altri paesi europei.
Bufale e fake news: le basi della disinformazione
Partendo da queste premesse e considerando che le persone tendono a credere alle notizie fornite da fonti ritenute affidabili, possiamo notare come la conoscenza “diretta” e la vicinanza affettiva della fonte di informazione valga spesso più della sua autorevolezza.
Ed ecco che la sorella, il collega e gli amici del calcetto si trasformano in canali preferenziali di acquisizione e condivisione delle informazioni, spesso veicolate con chat e social network.
Inoltre, i costanti input informativi e lo sforzo necessario per verificarne l’autenticità, uniti allo stress e alla tensione del momento, possono renderci “pigri” e più propensi a credere che le persone a noi care abbiano già fatto questa verifica per noi… Le stesse persone che a loro volta possono aver ricevuto tali notizie da altrettante fonti per loro “affidabili”….
A tutto ciò dobbiamo aggiungere il cosiddetto “confirmation bias” (bias di conferma), un meccanismo psicologico che ci spinge ad assimilare più facilmente le informazioni che confermano e rafforzano le nostre convizioni. In breve: crediamo a quello che ci fa più comodo. Questo bias viene da tempo sfruttato da social network e riviste online che tendono a proporci i contenuti che avvallano le nostre credenze e la nostra visione della realtà.
Non è quindi affatto sorprendente l’enorme mole di bufale e fake news che circolano in rete in situazioni come queste.
Balconi e finestre: le nuove piazze ai tempi del virus
Se da un lato guardiamo lontano attraverso gli schermi di PC e TV, non potendoci spostare fisicamente oltre precisi confini, dall’altro esploriamo le possibilità offerte dalla realtà entro i limiti ristretti che ci hanno imposto. Allo stesso modo, ci confrontiamo con una quantità di tempo libero inimmaginabile fino a qualche mese fa.
Prima del coronavirus, vivevamo nella dimensione dell’estroversione e della velocità. Una dimensione alimentata dalla possibilità di essere ovunque in qualunque momento, grazie alla tecnologia e alle infinite opzioni di mobilità. Ora siamo chiamati a introvertirci e a rallentare, passando più tempo con noi stessi e con chi ci è vicino e imparando a gestire orizzonti temporali dilatati.
Al di là del mondo virtuale di social network e chat, gli spazi di socialità e condivisione reale si sono ridotti di pari passo con la nostra possibilità di spostamento. Ecco allora che le zone di transizione tra l’interno e l’esterno delle nostre tane sono diventate le nuove piazze in cui incontrarci e a volte palcoscenici in cui esibirci.
Balconi e finestre si sono trasformati in una terra di mezzo. Su questo sottile confine tra dentro e fuori possiamo continuare a dedicare una parte del nostro tempo, divenuto così insolitamente abbondante, a parlare e cantare insieme ad altri esseri umani in carne ed ossa. Le stesse persone che, prima dell’irruzione del Covid 19 nelle nostre vite, spesso nemmeno vedevamo o ci limitavamo a salutare distrattamente al rientro dal lavoro.
Diversi ma uguali: il virus che unisce oltre lo spazio e il tempo
E proprio la percezione e la gestione del tempo è un altro punto di rottura in questa pandemia. Abbattuti i confini fisici, incapaci di fermare un nemico invisibile, spariscono ora anche i confini temporali. Non abbiamo infatti la certezza che i paesi che hanno assistito per primi alla diffusione del virus entro i loro spazi territoriali siano i primi a combatterlo in modo definitivo. Almeno finché si sentirà parlare di contagi di ritorno…
È come se il coronavirus avesse temporanemente sospeso le categorie di spazio e tempo per scaraventarci nella ruota di un criceto. La comunicazione ai tempi del Covid 19 ci porta in una dimensione spazio-temporale ciclica.
Chi non aiutiamo oggi a guarire, da un punto di vista medico o economico, potrebbe infettarci domani e trascinarci di nuovo nel vortice. Chi faremo entrare domani dentro i nostri confini nazionali, potrebbe aiutarci a contrastare i danni sanitari o a risollevare l’economia (pensiamo al turismo, ma anche ai viaggi d’affari), ma potrebbe ributtarci nel baratro, innescando un nuovo focolaio…
I confini territoriali che delimitano paesi e città così come i confini temporali che separano giorni e mesi sembrano aver perso la loro capacità di essere punti di riferimento, nel bene e nel male. Non sappiamo da dove arriverà il prossimo paziente zero e non sappiamo quanti giorni, mesi o anni durerà la prossima quarantena. Non sappiamo quando e se si troverà un vaccino e quale paese potrebbe utilizzarlo per primo.
La società dell’immagine vacilla: il format “casalingo”
La comunicazione ai tempi del Covid 19 sembra avere ricadute anche sulla cultura dell’immagine che contraddistingue il modello di sviluppo occidentale. Pantofole e tute da ginnastica sostituiscono abiti da sera e cravatte nella nostra quotidianità così come nelle case dei vip.
Da qualche settimana in tv vediamo personaggi dello spettacolo, sportivi o giornalisti in outfit informali e decisamente casalinghi. Questo crea una sensazione di maggiore vicinanza e condivisione della realtà. È come se questi personaggi, prima percepiti come irraggiungibili, ci dicessero implicitamente “vi siamo vicini… guardate, siamo come voi ”.
Sorvolando sulle strategie di marketing sottese a ridurre le distanze con il pubblico per aumentare la propria popolarità, il cambiamento di format rimane comunque interessante. Vacilla il must dell’apparenza e il culto dell’immagine. In un contesto in cui le istituzioni invitano la popolazione ad uscire il meno possibile e a concentrarsi solo sulle necessità essenziali, i personaggi dello spettacolo si allineano de facto alla comunicazione istituzionale per rafforzarla e supportarla.
Medici e infermieri: nuovi modelli collettivi
Tuttavia, notiamo come da qualche settimana i modelli di riferimento collettivi stiano mutando in modo sempre più evidente. Personaggi dello spettacolo, calciatori e soubrette sembrano perdere popolarità e visibilità sui media a vantaggio di medici e infermieri. Da un lato chi ci intrattiene e ci fa divertire, dall’altro chi ci cura e ci assiste.
Mentre le società sportive conducevano trattative serrate con famosi giocatori per poter ridurre i loro compensi milionari solo per qualche mese, migliaia di medici e infermieri si offrivano volontari per supportare le zone più colpite dal virus. Senza chiedere nulla e consapevoli di rischiare la vita.
Forse i concetti di valore e utilità sociale stanno iniziando ad occupare più spazio nel nostro orizzonte mentale.
Modelli e mappe di riferimento: un cambiamento necessario
Così, grazie ad una medicina amara, ci stiamo accorgendo che il Re è nudo. Per molto tempo abbiamo seguito una mappa che ci ha portato in un territorio diverso da quello che immaginavamo. Ora dobbiamo capire come rivedere le coordinate e ridisegnare i contorni di quella mappa che ci guida nel mondo. E in fretta.
Ma per farlo dobbiamo cambiare il nostro modo di ragionare e gli automatismi con cui interpretiamo la realtà. Quello che fino a qualche mese fa ci sembrava un’opzione su cui riflettere, ora è un obbligo a cui non possiamo sottrarci.