Hate speech e narcisismo: le forme della disconnessione

Hate speech (incitamento all’odio) e narcisismo sono forme di distacco e disconnessione dagli altri e dall’ambiente che ci circonda.
Questa mancanza di connessione è alla base di disfunzioni culturali e linguistiche con conseguenze gravi e puntualmente sottovalutate nella storia.
Le convinzioni limitanti che ne derivano sono i mattoni per la costruzione di società e modelli di sviluppo che coinvolgono, direttamente o indirettamente, miliardi di persone.
Hate speech: il linguaggio dell’odio
Ma che cosa si intende per hate speech? Nel suo uso più comune, il termine inglese hate speech fa riferimento a tutte quelle espressioni che incitano alla violenza e al disprezzo verso alcune categorie di individui o minoranze.
L’hate speech ha spesso come bersaglio gruppi o soggetti con precise origini etniche, orientamenti politici, credenze religiose e inclinazioni sessuali. Ma non si limita a questi casi e può essere usato per qualsiasi persona o gruppo che venga ritenuto “meritevole di disprezzo”.
Chi lo utilizza si percepisce come del tutto distinto e separato da coloro a cui rivolge queste espressioni. Come potremmo infatti percepire una qualsiasi connessione tra noi e ciò che vorremmo distruggere?
A questo serve il narcisismo.
Narcisismo: significato
Il narcisismo è un fenomeno ampio e complesso, con tante sfaccettature, e su cui esiste una vasta letteratura. In questo articolo mi limiterò a descrivere in modo sintetico gli aspetti del narcisismo da cui nasce e si sviluppa l’hate speech.
Ma prima distinguiamo tra narcisismo inteso come disturbo di personalità e narcisismo inteso come atteggiamento e approccio alla vita. In questo articolo mi occuperò solo del secondo, sebbene sia intuibile il forte legame tra i due.
Per praticità definirò chi mostra spesso questi atteggiamenti come “narcisista”. Ma è importante ricordare che non bisogna mai identificare la persona con il suo comportamento e che ognuno di noi è in continua trasformazione.

Come nel famoso mito greco, il narcisista si rispecchia solo in sé stesso, incapace di riflettersi nello sguardo e nel mondo dell’altro. Tuttavia, l’incapacità di connettersi con i sentimenti delle altre persone rivela un limite e una carenza più profonda. Questo limite non è altro che la difficoltà a percepire e connettersi con la propria parte più autentica.
Le basi della disconnessione emotiva
Il narcisista si connette infatti solo con gli aspetti più superficiali e “acquisiti” della sua personalità. In breve: è disconnesso emotivamente da sé stesso e dagli altri. A causa di questa disconnessione, non prova empatia per gli altri individui e per ciò che lo circonda.
Ognuno di noi comprende, almeno a livello razionale, che noi, gli altri e l’ambiente siamo collegati e interconnessi come in un unico grande organismo. Ma una cosa è comprendere a livello razionale, un’altra è “percepire” questa connessione.
Se io sono disconnesso dalle mie gambe perché non percepisco che sono collegate al resto del corpo, quando queste vengono ferite tenderò a minimizzare l’accaduto. Questo rende possibile e “non preoccupante” qualsiasi forma di violenza verso le mie gambe. Se non riesco a percepire le mie gambe come connesse a me, sarò portato a vederle solo come “oggetti”, strumenti da usare al bisogno.
Narcisismo e manipolazione
In questo blog ho scritto diversi articoli sulla manipolazione. Il narcisista ricorre spesso alla manipolazione per influenzare i comportamenti degli altri e l’ambiente che lo circonda perché vede entrambi come strumenti al suo servizio. Sia gli altri che l’ambiente circostante sono realtà viventi oggettualizzate e separate da lui. Egli non prova quindi alcun disagio per i danni che provoca a entrambi.
Anche forme di manipolazione su larga scala risultano più efficaci in un contesto narcisista. In un ambiente di questo tipo manca infatti quel “detonatore” che può risvegliarci dal torpore e ricollegarci alla realtà: la consapevolezza e la percezione dell’altro.
L’estraneità al dolore dell’altro è amplificata, oltre che dal distacco emotivo, anche dalla distanza fisica. Per questo, spesso, le cose più aberranti vengono fatte ai danni di comunità e popolazioni lontane geograficamente, o almeno lontane dalla nostra vista, come dimostrato dal famoso esperimento di Milgram.
Hate speech e narcisismo: un incastro perfetto…
Se io mi percepisco come totalmente disconnesso da un’altra persona, nella migliore delle ipotesi la vedrò come qualcosa da usare per soddisfare i miei bisogni. Nella peggiore, come un ostacolo e una minaccia da rimuovere per realizzare i miei desideri.
In quest’ultimo caso si crea un incastro perfetto tra narcisismo, hate speech e principio di scarsità delle risorse. Quest’ultimo principio acquista forza e potere in economie basate sul consumismo e su uno stile di vita orientato agli sprechi. Il principio di scarsità delle risorse non avrebbe infatti lo stesso impatto in economie circolari e sostenibili.
Quindi la struttura economica e sociale dominante trova giustificazioni teoriche nel principio di scarsità delle risorse, si alimenta nel terreno culturale nel narcisismo e costruisce il suo codice linguistico con l’hate speech.
Se io insulto qualcuno “diverso” da me per presunte caratteristiche negative o per una presunta mancanza di caratteristiche positive, metto in evidenza la mia superiorità. Se io sono superiore, posso giustificare il mio “diritto” a pretendere più spazio e più risorse rispetto a lui. Il meccanismo appena descritto è il prototipo di ciò che avviene prima dello scoppio di una guerra, pulizie etniche, massacri e violenze di ogni genere.
Come per il linguaggio del limite del periodo più buio della pandemia, anche in questo caso il linguaggio usato riflette la cultura che lo crea e lo nutre.
Quale libertà?
Molte culture e società incoraggiano e rafforzano i comportamenti narcisisti a livello collettivo. La società dei consumi in cui siamo immersi auspica e sostiene un’attitudine narcisista per tutti noi.
Per ottenere questo obiettivo, spesso traveste e giustifica tali atteggiamenti come libertà di espressione e quindi come liberazione da limiti e vincoli. Quei limiti che per il narcisista, disconnesso dall’essenza di ciò che lo circonda, sono solo ostacoli alla massima espressione dei suoi desideri.
Ma questa “libertà” e superamento di limiti esterni si sviluppa grazie a un enorme limite interno: l’incapacità di percepire la sofferenza causata ad altri. E come può la vera libertà nascere da un limite così grande? La “libertà dei consumi” parte da una profonda inconsapevolezza e l’inconsapevolezza è forse la cosa più incompatibile e distante dalla libertà autentica.
Al contrario, il senso del limite esterno insieme alla consapevolezza e al desiderio di superare i nostri limiti interni nasce da una libertà autentica. Questa libertà si fonda sul piacere che proviamo nel non causare danno o dolore agli altri o meglio ancora nell’aiutarli a provare gioia e serenità.
Ma per percepire questo tipo di piacere, dobbiamo prima sentire che gli altri e l’ambiente sono come quella parte di noi che fino a poco tempo prima ferivamo senza preoccuparci.
La culla dell’hate speech
Quindi senza una cultura dominante basata sul narcisismo e sulla presunta superiorità di determinati stili di vita, l’economia per come è strutturata oggi non potrebbe esistere. Non potremmo continuare a produrre, consumare e sprecare risorse con questi ritmi e il sistema imploderebbe.
Se grazie all’assist di questo tipo di cultura riusciamo, al contrario, a disconnetterci dal dolore che il nostro stile di vita causa ad altri, possiamo continuare con le stesse abitudini senza intaccare la nostra apparente felicità. L’hate speech e la scia di disconnessione emotiva che si porta dietro è ciò che serve al nostro sistema economico per non collassare.
Un’attitudine narcisista permette di fare aumentare in modo “spontaneo” i consumi di beni superflui (o di beni che potremmo produrci da soli in un’economia diversa). E con essi i profitti di un’economia che ci siamo cuciti addosso come un vestito troppo stretto. Questo è possibile in contesti culturali con un basso livello di consapevolezza, in cui persone e ambiente sono visti come mezzi e non come scopi. Culture ed economie di questo tipo rappresentano la culla dell’hate speech.
Iperconnessione digitale e disconnessione emotiva: il narcisismo digitale
Questa “oggettivazione” di altri esseri viventi si avverte nella vita reale così come in quella virtuale. Sebbene l’hate speech sia un fenomeno antico, spesso questo termine viene usato per parlare di questi comportamenti sul web.
Per vari motivi, tra cui il possibile anonimato e la distanza fisica con conseguente “deresponsabilizzazione”, il mondo virtuale si presta bene al proliferare di atteggiamenti discriminatori.
C’è inoltre un effetto di estremizzazione di gruppo che spiega perché l’hate speech sia così diffuso sul web. Quando ci rivolgiamo a un audience selezionato, come le nostre cerchie di amici o follower sui social, siamo più propensi a esprimere anche posizioni estreme. Un po’ come se fossimo all’interno di una “gang virtuale”…
Come in una favola: la vera connessione…
In una favola per bambini, un giorno le braccia iniziano a deridere e a trascurare le gambe. Lo fanno perché sono convinte di non avere nulla da spartire con loro.
Un giorno le gambe, sfruttate e costrette in condizioni di vita precarie dalle braccia “dominatrici”, potrebbero trovarsi in gravi difficoltà. Quelle gambe potrebbero quindi indebolirsi e barcollare oppure infettarsi con un virus molto pericoloso.
Qualche giorno dopo le braccia altezzose potrebbero ricevere la visita di quel virus e chiedersi terrorizzate da dove venga e cosa voglia da loro. Quel virus potrebbe colpirle all’improvviso, insieme alla consapevolezza della loro connessione con le gambe.
E così un piccolo virus potrebbe farle interessare al benessere delle gambe, anche se solo per paura e opportunismo. Infatti, insieme alla salute, anche il desiderio di divertirsi, viaggiare, fare affari e stringere mani di altre braccia importanti sarebbe compromesso dalla strana malattia delle gambe.
Quindi, borbottando e imprecando, le braccia potrebbero pensare che non conviene sfruttare troppo le gambe. Potrebbero inoltre valutare la possibilità di aiutarle ad avere condizioni di vita quantomeno decenti.
Di conseguenza anche astenersi dall’usare termini dispregiativi per giustificare la discriminazione e lo sfruttamento delle gambe sarebbe un semplice gesto di consapevolezza. Non ci sarebbe quindi alcun bisogno di creare leggi e sanzioni per punire l’incitamento all’odio.
Se poi le braccia, oltre a comprendere la connessione con le gambe, percepissero anche il dolore che gli hanno arrecato, quella consapevolezza si rafforzerebbe ancora di più.
… e le pozioni magiche
Tuttavia questa non è la vera storia e le braccia non faranno niente di tutto ciò.
Al contrario nasconderanno i problemi sotto al tappeto, cercando di non pensarci, come hanno già fatto tante altre volte. Inoltre attaccheranno le gambe: alcune di loro verranno accusate di aver fatto loschi esperimenti, altre di non prendere abbastanza precauzioni contro la malattia.
Nel frattempo le braccia si affanneranno anche a preparare antidoti e pozioni magiche per far sparire in fretta quella strana malattia e ributtarsi voracemente sulle vecchie abitudini.
Ma per fortuna questa è solo una favola.